Il contadino miete con l’ausilio della falce il grano maturo ammucchiando le spighe in piccoli fasci al suolo davanti a sé.
Accompagna la raffigurazione di Giugno il segno zodiacale dei Gemelli, governato da Mercurio, terzo segno dello zodiaco (e, insieme alla Bilancia e all’Acquario, segno di Aria) che chiude il trimestre primaverile, ponendosi a ridosso del solstizio d’estate.
Lo rappresentano tradizionalmente due fanciulli gemelli che si tengono per mano; nella raffigurazione otrantina, i fanciulli sono invece staccati ma comunicanti tra loro attraverso la gestualità e gli sguardi.
All’interno dello zodiaco, i Gemelli sono il segno che coincide con il simbolismo della dualità nella somiglianza. Sono l’immagine per eccellenza di tutte le opposizioni interiori ed esteriori, contrarie o complementari, relative o assolute, che conducono alla tensione creatrice. Il segno, noto come doppio, introduce al mondo dei contrari polari: maschile-femminile, tenebre-luce, soggetto-oggetto, interiore-esteriore; una metà agisce, l’altra la osserva agire, per un segno che nello stesso tempo è attore e spettatore di se stesso. Alle radici di molte culture ci sono spesso simbolicamente i gemelli nel loro ruolo di avvento di una nuova era: come tradizione vuole, essi non possono convivere se non alternandosi o uccidendo una delle due parti, come lasciano intendere il rapporto tra la luna e il sole, tra la luna piena e la nuova, l’incipit della storia biblica (Caino e Abele) o di quella romana (Romolo e Remo).
La fase dei Gemelli si conclude con l’esplosione dell’estate – la stagione in cui i prati sono insidiati dalla prima siccità, i frutteti vanno irrigati, i legumi seminati e i germogli superflui eliminati – il cui nome dichiara quanto ormai il sole arda nel cielo, seppur tra improvvisi temporali e violenti risvegli di vento: il latino aestas, infatti, deriva da aestuare, avvampare, un verbo che ci lascia immaginare tempi e luoghi della maturazione di messi e frutti, dal frumento all’uva; è tempo di ciliegie, albicocche e ribes, fioriscono il cardo, la calendula e il giglio, tra gli uccelli canterini si impone l’usignolo.
La scena è accompagnata dall’indicazione del mese (Iu/nii).
Con il mese di Giugno il ciclo otrantino ritorna ad illustrare attività più specificamente legate al lavoro nei campi, dopo la digressione festosa del mese di Maggio. La figura del mietitore qui rappresentata, a parte le libertà interpretative, sembra in qualche modo riflettere tutta la fatica e l’impegno necessari ad ottenere dalla terra i frutti non facili del proprio lavoro. Tipica del periodo è la consuetudine del taglio alto delle spighe1, in modo da lasciare la maggior quantità possibile di stoppie, a nutrimento del bestiame prima e a concime del terreno poi.
Il simbolismo della mietitura
L’operazione della mietitura era un tempo impregnata di sacralità. Si credeva infatti che nell’ultimo covone o nelle ultime spighe fosse incarnata una forza attiva indicata – a seconda delle culture – come Madonna del Grano, Regina del Grano, Spirito del Grano, Vecchio degli Arabi o Madre della Spiga. Di queste ultime spighe si conservavano i granelli, per mescolarli alla semenza autunnale a garanzia di un futuro raccolto propizio. L’ultimo covone poteva essere gettato nel fiume (per propiziarsi l’acqua in funzione del nuovo raccolto) oppure bruciato, e le sue ceneri asperse nei campi. Un’usanza che lentamente trasformò il covone in un fantoccio di paglia, eredità di arcaici rituali che prevedevano un sacrificio umano ma che ben presto furono sostituiti da ritualizzazioni simboliche e sacrifici incruenti, dove sempre però venne mantenuta la consuetudine di rievocare l’eco della Creazione, la rigenerazione derivante da un sacrificio nel quale da un “corpo” smembrato germoglia la nuova vita.
Superfluo indicare le assonanze rituali con il mistero dell’Eucarestia, perché nella stessa spiga, una delle prefigurazioni più comuni del Cristo, è insita l’idea di qualcosa che muore per generare e rigenerare.
La mietitura era seguita da feste rituali di ringraziamento, più volte frenate e corrette dalla Chiesa a causa del loro carattere orgiastico. Oggi esse si sono trasformate in fiere e sagre che spesso hanno per protagonisti immagini sacre (preferibilmente la Vergine), covoni di grano e rappresentazioni “teatralizzate” delle attività di mietitura e trebbiatura scandite da danze e canti popolari.
Tratto da https://www.mondimedievali.net